Giorgio Pizzichini, foto di Claudio Ballardini

“Eroe” è una parola grossa, ma se in comune di Pianoro si può tranquillamente andare a spasso per i campi è anche grazie a un signore di 92 anni che oggi abita a San Ruffillo. Dopo il passaggio del fronte, nel 1945, il territorio era zeppo di mine e ordigni lasciati dagli eserciti di ambo le parti; la nostra zona venne ripulita da un manipolo di coraggiosi che facevano parte della 2ª Compagnia Sminatori del Comando di Bologna, ma dei 51 che avevano iniziato il lavoro, solo 15 arrivarono in fondo. «Gli altri sono saltati per aria – ricorda con una smorfia Giorgio Pizzichini –. Ho insistito perché la rotonda tra via Jussi e via Virginia Woolf a San Lazzaro venisse dedicata a loro. I gruppi di rastrellatori erano costituiti da due sminatori e un capo rastrellatore, una sezione era composta da 15-20 gruppi, almeno 180 persone. La mia era la Terza Sezione di Bonifica e io mi ero trovato ad essere il più giovane sminatore e il più giovane comandante di sezione d’Italia». Alle spalle un corso teorico, nelle mani una bussola per individuare la posizione dei campi minati, quando le mappe c’erano, e un’asta con un lungo punzone. «C’erano mine di legno o di vetro che il cercamine non sentiva. Allora bisognava forare il terreno centimetro per centimetro, e così le mine si trovavano». Lì iniziava il pericolo. «Su dieci salme, quattro erano minate. Quando ce n’era una la tiravamo con una corda da 30 metri e a volte saltava per aria. E c’erano trappole nelle mine stesse. Oltre al detonatore principale, ce n’erano altri nella parte inferiore dell’ordigno e appena lo si spostava credendolo già disattivato, saltava per aria. Bisognava togliere la terra da sopra, disattivarlo, e poi con le mani andare sotto per trovare gli altri accenditori, quindi svitarli o bloccarli con una copiglia per potere rimuovere la mina». Vita sul filo del rasoio. «Avvenne che avevo appena agganciato una mina con la corda, ma avevo tolto solo il primo detonatore, quando uno dei miei la tirò su. Mi vidi la morte in faccia. Furibondo, lo minacciai con la pistola: “Disgraziato!”. “Ma io credevo che tu avessi già…”. Per fortuna la trappola non c’era e l’ordigno non era scoppiato. I tedeschi non sempre le mettevano perché era un’operazione pericolosa anche per loro». Non sempre andava così bene. «Di solito l’area da sminare veniva divisa a metà e due soldati cominciavano a bonificarla partendo dai due estremi. Erano 50 metri. Due soldati stavano chiacchierando e uno, un mio amico, volle raggiungere l’altro per spiegargli una cosa, ma invece di tornare indietro per la parte sminata attraversò in avanti, verso la parte minata. Lo raccolsi dentro un sacco». Poi finalmente il lavoro da brividi arrivò a termine. Pizzichini aveva iniziato a sminare l’ 1/10/1945 e concluse la sua missione il 31/10/1948. Da tempo è in pensione, dopo essere stato a lungo funzionario dell’Azienda del Gas; ha ricoperto cariche importanti all’interno della Federazione Motociclistica Italiana ed è Cavaliere del Sovrano Ordine di Malta. Dal giorno in cui poté tirare un sospiro di sollievo sono passati 70 anni esatti, e a dispetto della rispettabile età gode di buona salute, e se la gode. Può esserne più che soddisfatto: ci furono momenti, allora, in cui nemmeno lui ci avrebbe scommesso.

Dario Ballardini