Comprendo benissimo che l’argomento del quale tratta questo articolo potrà essere “indigesto” per i nostri lettori bersagliati giornalmente dalle notizie Covid, ma occorre comunque scriverne per le future generazioni. Dalla pesta di Atene del 430 a.C. al Coronavirus di oggi, la scienza ha fatto passi da gigante. Non si può dire altrettanto del comportamento degli esseri umani che continuano a perpetrare errori su errori sia nella gestione sia nell’organizzazione dei processi epidemici. Ripercorrendo la storia scritta (quanti fatti non sono stati riportati nel corso dei secoli) delle epidemie mondiali si scopre che l’umanità è soggetta a epidemie ogni 50 anni di vita e che, nei tempi moderni, questo intervallo si sta accorciando. La storia ci tramanda tanti fenomeni pandemici che vi elenco.

Peste di Atene (430 a.C.).
Una delle prime epidemie della storia fu descritta da Tucidide.
Lui ne fu testimone in prima persona, essendo anche colpito dal morbo, e scoppiò durante l’assedio di Atene da parte di Sparta durante la seconda guerra del Peloponneso. Portò alla morte, tra gli altri, della guida politica ateniese, Pericle. Diverse le ipotesi sul tipo di malattia. Per Powel Kazanjian, medico e docente esperto di storia delle malattie infettive, potrebbe trattarsi di ebola. In netto anticipo sui tempi rispetto al primo focolaio riconosciuto del 1976 in Congo.

Peste Antonina (165 d.C.).
Dal nome della dinastia imperiale allora regnante, è conosciuta anche come la peste di Galeno, il famoso medico dell’antichità che la descrisse.
Portata all’interno dell’impero romano dalle legioni dopo la spedizione nel regno dei Parti, durò per una trentina di anni, mietendo almeno 5 milioni di persone. Tra le quali, forse, l’imperatore Lucio Vero, associato al trono a Marco Aurelio. Vaiolo, morbillo o peste bubbonica le ipotesi più accreditate sul virus responsabile.

Epidemia di San Cipriano (251 d.C.).
Dal nome del padre della Chiesa e vescovo di Cartagine che la descrisse, nella sola Roma sarebbe arrivata a uccidere fino a 5mila persone al giorno. Compreso l’imperatore Claudio II detto il Gotico. E, forse, un suo predecessore, Ostiliano. I ricercatori ipotizzano che sia stata generata dal virus del vaiolo o del morbillo, anche se Kyle Harper della University of Oklahoma (Usa), basandosi sulle cronache antiche, parla di un contagio da febbre emorragica
diffusa da un roditore.

Peste di Giustiniano (541 d.C.).
Dal nome dell’imperatore regnante, che secondo Procopio di Cesarea ne sarebbe anche stato colpito, passò dal delta del Nilo a tutto l’Egitto, la Siria e la Palestina, approdando a Costantinopoli e al resto dell’impero, sconvolto per circa un secolo. Lo storico bizantino riporta come al culmine dei suoi effetti l’epidemia uccidesse 10mila persone al giorno nella sola capitale. Ma i ricercatori dell’Università del Maryland parlano di dati assai sovrastimati. Dall’esame del Dna di un uomo morto nel 570 d.C., i cui resti sono stati ritrovati ad Altenerding (Germania), è emerso come causa del decesso il batterio Yersinia pestis.

Peste nera (1347).
Responsabile della morte di un abitante su tre dell’Europa (20-25 milioni di vittime circa, quindi), fa da sfondo al Decameron di Giovanni Boccaccio e ha avuto un’onda lunga che si è protratta fino al ’700. Provocata dallo Yersinia pestis, secondo i ricercatori delle università di Ferrara e Oslo (Norvegia) la causa della sua diffusione non furono i topi ma l’uomo, attraverso un contagio diretto avvenuto probabilmente tramite i pidocchi.

Scambio colombiano (XVI secolo).
Si chiama così l’era posteriore alla scoperta dell’America che diede origine all’interscambio tra i due continenti. I conquistadores e i coloni europei portano nelle Americhe influenza, tifo, morbillo e vaiolo, malattie nei confronti delle quali gli indigeni erano privi di difese immunitarie, così le epidemie in alcune regioni sterminano fino al 90% della popolazione autoctona. A spazzare via la civiltà degli Aztechi, secondo uno studio dell’Istituto Max Planck dell’università tedesca di Jena, fu la salmonella.

Peste del 1575.
A Milano chiamata «Peste di San Carlo» per l’assistenza data ai malati dal vescovo Carlo Borromeo, a Venezia stermina un abitante su quattro e porta alla decisione di far costruire ad Andrea Palladio una chiesa dedicata al Redentore, ove ancora oggi ci si reca annualmente in processione.

(1^ parte).

Romano Colombazzi