
Betty Grossi
Il 9 giugno si è celebrato il giorno mondiale per le Vittime delle Torture, con l’obiettivo di sensibilizzare casi come quello di Betty Grossi, residente a Rastignano, torturata sotto il regime di Maduro in Venezuela.
Grossi vive adesso in Italia e ringrazia Dio per la sua vita, compreso il suo passato. Betty Grossi non teme di esporre la sua faccia e il suo nome. Non ha fatto niente di male, ma ugualmente è stata fermata per un presunto coinvolgimento in un caso di assassinio e inoltre è stata mandata in carcere per aver finanziato, sempre in maniera presunta, gruppi terroristici contrari al governo di Maduro in Venezuela.
Ai giudici non è importato che lei fosse sola la padrona di casa di un ragazzo che le aveva chiesto aiuto concreto per potere manifestare pacificamente contro i tagli messi in atto dal Governo, “e che invece è risultato, secondo le mie informazioni, essere un infiltrato del regime che ha finito con l’uccidere una donna che sperava di derubare per poter scappare dal Paese dopo che fossero state scoperte le sue truffe”.
Grossi è stata portata in carcere senza alcun processo, e non è potuta tornare libera prima che fossero passati due anni e quattro mesi e sei giorni. La cosa peggiore tuttavia, doveva ancora succedere. Ancora non c’era stata tortura, se non essenzialmente psicologica. Durante questi due anni e mezzo scarsi Grossi afferma: “mi hanno fatto credere che mi potevano uccidere in qualsiasi momento, senza che nessuno lo sapesse; è stato orribile”. “A un certo punto, io e altre detenute abbiamo fatto uno sciopero della fame; i nostri carcerieri mangiavano davanti a noi per cercare di indurci a interrompere lo sciopero”. “Ci sono anche state torture fisiche. All’inizio della detenzione per dieci giorni non è stato permesso nessun con tatto, e in più, avendo il ciclo, ho dovuto cercare pezzi di giornale da usare per sostituire gli assorbenti, dal momento che nessuno si curava di me. Ho dovuto dormire in terra per diversi mesi, con gli scarafaggi e i topi che mi camminavano addosso”. “Tutto questo mi ha portato risentirmi con Dio, Gli chiedevo perché mi stava succedendo tutto questo, la sua risposta è stata come uno schiaffo che mi ha fatto capire quanto fossi stata sciocca. Dio non mi aveva mai abbandonato. Allora mi sono impegnata ad evangelizzare le mie compagne di prigionia. Dicevo loro che non eravamo sole.” Oggi Betty Grossi non ha più risentimenti per il passato. Continua a impegnarsi facendo sentire la sue voce affinché situazioni come quelle da lei vissute non si debbano più ripetere che è lo stesso obiettivo che l’ONU vuole ottenere con l’istituzione della giornata del 26 giugno, come giorno Mondiale in favore delle Vittime delle Torture.
Gianluigi Pagani