
Luigi Ferro nel suo uliveto
Sapete che nella collina di Pianoro erano presenti gli ulivi, si potevano trovare anche a 500-600 m di altezza, una coltura che è sempre stata parte integrante dell’agricoltura, insieme al grano e al vino.
La penso proprio una pianta moderna, a cui oggi ci possiamo ispirare, ha la capacità di adattarsi e svilupparsi anche in condizioni non sempre ottimali! Purtroppo molti secoli fa, a seguito di una ampia e intensa gelata, la coltivazione fu abbandonata e spostata verso la Toscana con clima più mite. Da allora l’arte culinaria bolognese non si accompagnò più con il salutare olio d’oliva, ma si orientò verso lo strutto di maiale, sempre presente nelle cucine delle case di contadini della zona, che ancora oggi ispira alcune nostre prelibatezze.
Abbiamo chiesto a Luigi Fierro un coltivatore del Comune di Pianoro di raccontarci come è nata questa sua passione. Ci siamo incamminati tra gli ulivi e ci ha spiegato che suo padre nel 1985 ha deciso di piantare i primi alberi e poi è stato lui a continuare l’impianto. L’ulivo è un albero molto longevo, che attraversa diverse fasi di vita: la fase di allevamento, dopo la messa a dimora, dura circa quattro anni. Dagli 8 anni l’albero di ulivo inizia la sua maturità, che dura circa 40-50 anni, dove le produzioni si stabilizzano. Dal 50-60 anno in poi inizia l’invecchiamento. In condizioni pedoclimatiche favorevoli la pianta può invecchiare per centinaia di anni. La scelta di quale specie piantare deve essere valutata in base al risultato che si vuole ottenere e delle caratteristiche climatiche.
Oggi la coltivazione di Luigi presenta circa 1.000 alberi in 3 ettari di terreno, con in quali può raggiungere una produzione costante: si possono vedere belle piante dal taglio medio con chioma espansa, si tratta di alberi leccino, maraiolo e pendolino, questi ultimi non sono solo un tipo di treno ad alta velocità, ma anche gli “alberi impollinatori” che permettono alle altre piante di produrre le succose olive. Queste piante, evidenzia Luigi, hanno grande capacità di adattamento nei terreni in pendenza e di resistenza ai parassiti, l’unica attenzione è quella di non creare ristagni d’acqua, realizzando un buon drenaggio, anche nei freddi mesi invernali.
E’ importante la potatura dei rami al centro, per lasciare sviluppare i rami esterni, perché vale il detto: ”L’olivo quanto più pende, più rende!”. Le olive cambiano colore a seconda dei tempi in cui vengono raccolte, si presentano verdi, poi rosse, poi violacee ed infin nere.
Ci riferisce Luigi che il suo olio ha una bassa acidità e la qualità è ottima, più che extravergine.
Per trasformare le succose olive, dopo la raccolta con tecnica manuale, un piccolo frantoio ad uso familiare avrebbe costi troppo elevati e perciò Luigi ha pensato di rivolgersi di quelli presenti sul territorio, ma nelle vicinanze non ce ne sono. I frantoi più prossimi sono a Imola e Brisighella.
Luigi riferisce che la qualità dell’olio si fa in oliveto durante l’anno precedente, però la raccolta è molto importante, quanto il tempismo di portare le olive in frantoio.
Luigi ci ricorda che un altro degli aspetti che determina se un olio è da considerarsi extravergine riguarda proprio il processo di estrazione, al frantoio entrano olive ed escono olio extravergine ed i residui di lavorazione come la sansa e i noccioli; la sansa (costituita prevalentemente da polpa di olive e frammenti di nocciolo ed ha un contenuto in acqua variabile a seconda del sistema di estrazione utilizzato) può essere riutilizzata nell’industria agroalimentare oppure per alimentare i bovini; i noccioli sono sfruttabili come biomassa per riscaldare case e aziende. Un importante esempio di economia circolare.
La riscoperta dell’olivo è un patrimonio agricolo importante, ci complimentiamo con Luigi!
Auguriamo a lui e agli altri coltivatori della nostra collina che ci sia una valorizzazione di questa coltura e auspichiamo in un diffuso utilizzo di prodotti davvero a chilometro zero!
Sara Colombazzi