Raccontano i soliti maligni che un giorno da un vialetto dei giardini Margherita sbucò un gran pèz ed berta (una ragazza di prorompente bellezza). Uno dei due vecchietti seduto su una panchina del viale la seguì con lo sguardo estasiato e commentò: “Ah, se avessi vent’anni!”. L’altro vecchietto non si potè trattenere dal ribattere: “S’avess e s’a foss i en al cumpanadg di pistulon” (“se avessi e se fossi sono il companatico dei minchioni”). E’ un proverbio nostrano che afferma l’inutilità dell’autocommiserazione.
Coloro che sono tormentati da incertezze, che si limitano a piagnucolare sulla loro sorte senza mai decidersi ad agire, vengono redarguiti dal solito vecchietto con l’altro simile modo di dire bolognese: “Chi avess, chi psess e chi foss, l’era al rà di sunai” (“Chi avesse, chi potesse e chi fosse era il re dei coglioni”). Sono questi alcuni esempi dell’ormai perduto gusto per le citazioni proverbiali nel quotidiano uso colloquiale. Ed è un vero peccato che questa abitudine sia sparita. Immaginate un dibattito televisivo nel quale gli interlocutori sono ripresi a mezzo busto e i loro piedi non si vedono. Uno di loro cita un proverbio bolognese e afferma “Al busì i han curt i pì” (“le bugie hanno i piedi corti”). E contemporaneamente vengono inquadrati anche i piedi degli interlocutori!
Romano Colombazzi